Era la terza domenica di seguito che aspettava sul muretto, fuori della chiesa, assieme ad altri tre “gilera” come lui. Si erano dati un tacito appuntamento: valeva la pena percorrersi qualche chilometro a piedi per avvicinare le ragazze quando uscivano dalla messa.

Quegli sguardi furtivi che riuscivano a scambiarsi erano una scossa elettrica per lui… restava ogni volta imbambolato, lo stomaco completamente svuotato. Distolse lo sguardo da quel blu, quasi a proteggersi e lo rivolse all’altra, la sorella più piccola, che gli sorrise, spudoratamente e gli fece un cenno con la mano. Diede una gomitata ad Alfredo, era il segnale. I due saltarono il muretto e s’incamminarono lungo la strada che dal retro della chiesa portava alla scorciatoia del bosco, la strada più breve, che le ragazze avrebbero percorso per tornare a casa. Ironia della sorte…per vedere lei, poterle parlare un po’ doveva sorbirsi la compagnia un po’ noiosa del suo fratello maggiore e la risata un po’ sciocca della sorella minore che non si lasciava mai sfuggire l’occasione per decantargli tutti i pretendenti di Jolanda, aggiungendo, con un po’ di malizia:"non le dispiaceresti neppure tu se non fossi così giovane e spiantato”- "Sei arrivato tardi, poverino”.

L’aveva saputo, girovagando per il paese, che quando lei usciva dalla scuola di sartoria di Rante, si faceva accompagnare per un tratto di strada da quell'amorfo di Franco, quando lui scendeva in paese per il mercato.
Rappresentava il pericolo maggiore quel Franco, di buona famiglia, posato, di almeno 8 anni più grande di lui. Per farsi coraggio si ripeteva le parole che gli aveva detto Lino, distrattamente “mia sorella Jolanda è una ribelle, come te; l’unica in famiglia che osa contestare gli ordini di papà, lei sposerà chi piace a lei non a lui, dice sempre…”
Quella frase era il suo unico appiglio, la sua unica forza assieme agli sguardi di lei, al suo rossore, alla sua risata piena alle sue battute.

Lui era fenomenale nelle battute, arguto, simpatico. Vi ricorreva spesso per nascondere la timidezza, quella dolcezza sconfinata, quasi femminile che teneva dentro di sè. Una sorta di pudore che esorcizzava con quel sorriso un po' beffardo e quella sigaretta fatta a mano che teneva all'angolo della bocca, anche spenta, per darsi un'aria da uomo.
Aveva 18 anni e mezzo, aveva già ricevuto la cartolina per il servizio militare, fra non molto sarebbe partito.
Sapeva d’essere bello, di piacere alle donne, soprattutto a quelle più vecchie di lui. I capelli folti e ondulati, sopracciglia spesse che facevano risaltare il verde degli occhi e un sorriso “canaglia” che si apriva di continuo su quei denti bianchi, perfetti. Ma la cosa che più faceva impazzire erano quei due baffetti rossi, appena accennati. Sembravano uno scherzo della natura…capelli neri e barba e baffi rossicci. Lo chiamavano “il rosso” come suo padre, ma non solo per il pelo…era un marchio di famiglia…era noto che loro erano “socialisti e pure simpatizzanti comunisti” quei mezzadri il cui padre per arrotondare andava in giro con il carretto e la mula e portava olio, sale, fettuccia e molte altre cose che le donne pagavano con le “uova fresche di giornata”.

Da un po’ di tempo, quando non era nei campi, lo accompagnava pure lui perché poteva finalmente immergersi in quel mare di donne e scambiare qualche battuta e strappare un appuntamento anche a lei, quella donna che lui dentro di sé già considerava la sua donna. Non aveva il minimo dubbio che sarebbe diventata la sua donna.

Per rassicurarsi infilò una mano nella tasca, toccò lievemente la busta, si assicurò che i contorni fossero ben chiusi, l’aveva aperta con il vapore….letta e richiusa perfettamente. Che cretino Franco a mettere pure il mittente! Che fortuna, proprio un segno del destino incontrare il vecchio postino che zoppicava più del solito, tutto ansimante: era stato facile evitargli tutta quella strada, dirgli :“non si preoccupi, gliela consegno io oggi”…era passata quasi una settimana…quella lettera bruciava nella tasca…oramai aveva deciso se non gli dava un appuntamento per oggi…se non riusciva a strappare quel bacio che non lo faceva dormire la notte…se..se…intanto avrebbero fatto un po’ di strada assieme anche oggi e si sarebbe riempito gli occhi di lei.


Questo psuedo-racconto lo dedico a mio padre Igino, da tutti chiamato Gino o Ginetto.

La storia della lettera non consegnata l’ho saputa da loro: come vedete le “gattate”
non sono solo una prerogativa femminile. Diciamo che “cupido” quel giorno
aveva le vesti un vecchio postino zoppo.

Grazie postino zoppo, tu non avresti mai immaginato che esserti sottratto, per un giorno solo,
al tuo dovere avrebbe cambiato la vita di tanti, avrebbe favorito un amore
e un sodalizio durato per 51 anni e interrotto, solo momentaneamente, dalla morte.


~ Maria Nice ~


Brano in Sottofondo
Amore - Riccardo Cocciante -