Al quindicesimo dì dalla partenza del Re, venne alla mente di Valnesia regina la trama della sua stessa rovina:
saran state complici le stelle col loro fulgido brillar in cielo, o la luna che immota sembra inviar mille messaggi
ai cuori troppo soli forse per resistere alla tentazione di farsi accompagnar verso più gioiosi sogni....
E fu così che servitor, dame e serventi s'allontanarono quel dì, mandati da ella a cercar sangue di serpenti,
mentre lei sola e il prode Odino al castello avean dimora.


VALNESIA:    O cavalier, sentite qual silenzio attornia il nostro tempo

ODINO:    Sento o mia regina, e un poco mi spavento

VALNESIA:     E che temete, o prode Odino?

ODINO:    Temo, perchè s'usa dire che in silenzio arrivan i passi più cupi del destino

VALNESIA:    Io pure sento battere forte il cuore mio e -prendendogli la mano- vorrei stringermi a voi vicino, per sentire addosso come un manto la sicurezza che voi sapete dare

ODINO:     Regina -ritraendosi- io non vi posso nemmen sfiorare!

VALNESIA:    Non temete Odino caro, siamo soli più del tempo e non ci son nemmeno usignoli che possan riferirne in canto. Io vidi sempre nei vostri occhi uno scudo alzato: lasciatevi andar, amico caro, lasciatevi cullar dalla mia mano e nel mio corpo venite a trovar pace

ODINO:    O Regina, perchè voi mi tentate? Sapete ben che al vostro lucente sguardo non potei negar mai nulla, sapete ben che v'ho in cuor da quando eravate timida fanciulla

VALNESIA:    E' giunto il nostro tempo, o prode Odino, lasciate al Re la botte del miglior vino, ma questo bicchier è solo vostro, siatemi compagno dunque ora all'ombra di questo chiostro

ODINO:    Non potrei, o mia Regina, risvegliarmi più, se al sogno cedessi i passi miei questa mattina: la mia vita è arme, onor, giustizia, questo giurai ed eseguo in letizia. Al sire, vostro consorte, io resto fedele, perciò è tempo ora che corra al fiume a richiamar le genti entro le mura, così che all'indomani, con la nuova aurora, splendano lucenti i nostri occhi ancora.
Ritiratevi dunque o Valnesia cara, che non possa sorprendervi la sorte o la paura: fra cinque dì o sette al più Ulrico re sarà ancor presente e troverà pace in esso il cuor che ora vi brucia ardente.


Corse la Regina alla dimora sua più cara, corse, ma non spinta da paura com'egli sospettava,
ma da vergogna, che strisciando fra le pieghe dell'orgoglio bestia assai avida e crudele può divenir,
fino a sposarsi all'ira e con essa partorir la figlia sua più truce e abbietta,
ciò che gli uomini chiamano vendetta.

continua . . . .